Il castagno (l’albero della vita)

Il castagno ha rappresentato l’albero per eccellenza per molte generazioni sull’arco di due millenni. Promosso dai Romani, esso fu infatti coltivato e diffuso fin nelle valli superiori per le sue interessanti peculiarità, quali la grande versatilità del legno, l’abbondanza dei frutti e la facilità di propagazione. Il legno di castagno è caratterizzato da una grande facilità di lavorazione, nonché una particolare resistenza alle intemperie. Esso risulta quindi più che adatto per svariati usi esterni e interni.
Il castagno assunse quindi un ruolo fondamentale per la sussistenza delle comunità contadine, in particolare nelle regioni di montagna (fino a 800-1’000 m s.l.m.). Data la sua importanza quale base alimentare, nel corso dei secoli sono state selezionate diverse varietà, mirando soprattutto a diversificare i tempi di maturazione e le proprietà fruttifere per garantire la disponibilità di frutti durante diversi periodi dell’anno, nonché per incrementare le possibilità d’impiego e conservazione.
Il sud delle Alpi divenne così il fulcro della diversità varietale del castagno in Europa. Dopo secoli di forte sviluppo, a partire dalla seconda metà del ‘700 la coltura del castagno mostra i primi segni di declino, in seguito ad annate particolarmente rigide e all’inizio del suo sfruttamento per la produzione di carbone. In seguito, la diffusione di risorse alimentari alternative, quali ad esempio mais e patate, il progressivo abbandono del settore primario in favore dell’emergente settore terziario, unitamente alla nascita dell’industria del tannino e alla comparsa del cancro corticale del castagno (causato dal fungo Cryphonectria parasitica), hanno portato al progressivo abbandono della castanicoltura, con la conseguente perdita di biodiversità e delle caratteristiche naturali e paesaggistiche tipiche degli ambienti agro-forestali tradizionali di montagna, in favore di uno sfruttamento intensivo e sconsiderato del patrimonio boschivo per la produzione di legna, carbone e il pascolo del bestiame.
Per porre un freno ai tagli incontrollati effettuati nel corso dell’800, che furono la causa di numerosi danni e tragedie in tutta la Svizzera, nel 1876 la Confederazione decise di assumere il controllo della gestione di tutte le foreste nazionali di montagna e nel 1902 istituì la Legge concernente l’alta vigilanza della Confederazione sulla polizia delle foreste, la quale prevede l’obbligo per i proprietari di boschi pubblici di regolarne le utilizzazioni secondo i piani d’assestamento approvati dall’Autorità e il divieto di tagli rasi.
I piani d’assestamento che ne scaturirono prevedevano la suddivisione del territorio da gestire in comparti supervisionati dall’Ispettorato forestale, che impose restrizioni nel taglio dei boschi e un severo controllo del pascolo del bestiame, per favorire la crescita e l’estensione della superficie forestale. Tali imposizioni furono inizialmente fortemente osteggiate da proprietari e agricoltori. In seguito, le sollecitazioni federali, la determinazione degli ispettori forestali e gli importanti sussidi disponibili convinsero le istituzioni locali a sostenere gli interventi di rimboschimento.
In particolare, a Sonvico, in collaborazione con l’ispettore forestale dell’epoca A. Von Seutter e il Patriziato, vennero realizzati ben quattro distinti progetti di rimboschimento.
Il primo fu l’impianto di una selva castanile di ca. 17 ettari in località Sorív, sul versante meridionale del Monte Roveraccio, presumibilmente la prima realizzata in Svizzera con sussidi federali. Nel 1892 furono messi a dimora 824 castagni (ci cui 116 reintegrati nel 1894), ad una distanza di ca. 15 m gli uni dagli altri, sorretti da pali in castagno e protetti singolarmente da rovi e filo spinato, per un investimento complessivo di Fr. 1’691.70, finanziato per il 50% dalla Confederazione, per il 20% dal Cantone e per il 30% dal Patriziato di Sonvico. In base alle annotazioni dell’ispettore dell’epoca A. Von Seutter, l’angolo sud-ovest della Soriva fu poi decimato da un incendio.
Nel 1895 seguì poi la realizzazione della selva castanile di Pian Pirét.
A Sonvico, e non solo, l’albero di castagno era chiamato molto comunemente “Ur Albor”. A quell’epoca si contavano ben 27 qualità di castagne e la gente di allora le sapeva riconoscere in base alla grossezza, alla forma e al colore:
Belúsciora, Magrín, Deremacch, Verdésa, Marón, Selvàdegh, Torción, Ènsed bianche, Ranghiröla, Magrinón, Orióra, San Martin, Fugascéra, Bonirö o Bonairö, Magréta, Magréta Malcanton, Tópia, Viósa o Viusa, Torcée, Piantón, Verdón, Terematt, Temporiva, Tardiva, Rosséra, Negrèla, Torción negro.
Nel corso del ‘900, il drastico calo delle attività agricole di montagna in favore di lavori più redditizi concentrati nei centri urbani del fondovalle, così come la costante diminuzione della richiesta di legname, hanno comportato l’abbandono della gestione agro-forestale di molti comparti boschivi, favorendone la chiusura, la banalizzazione e l’avanzamento.